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[a cura di a.l.]

Antonio Gadaldini (1544-1560)

Antonio Gadaldini era nato intorno al 1478 a Villa d'Ogna, in alta Val Seriana, nel bergamasco. Bergamo rientrava allora nei territori della Serenissima, e i rapporti con Venezia continueranno anche in seguito a avere grande importanza per lui.

Nel 1515 è attestata la sua presenza a Modena, quando registra la nascita del figlio Agostino. Nel 1517 era certamente già attivo, in città, come libraio. Figura allora nei registri dell'Inquisizione come testimone nei procedimenti a carico di Giacomo Grazioli e Lodovico Sadoleto, accusati di tenere libri di magia. Sadoleto si era rivolto a Gadaldini per fare rilegare alcuni di questi libri.

L'attività di libraio -- citiamo Montecchi, Gadaldini -- dovette svolgersi senza difficoltà e con successo per almeno una ventina d'anni, nel più scrupoloso rispetto dell'ortodossia e delle direttive ecclesiastiche.

Ancora nel 1523 è testimone nel processo per eresia contro Panfilo Sassi. Tutto è cambiato nel 1537. L'11 dicembre Tommasino Lancillotti, notaio autore di una ricchissima Cronaca modenese (Lancillotti, VI, p. 389-390, 392, per le citazioni che seguono), ascolta la predica in duomo. Don Serafino Aceti parla di "una setta como luterana che è in Modena", scoperta dal predicatore attraverso "uno certo libreto vulgare" che si presenta senza nome dell'autore, senza una data e senza note tipografiche. È il Summario de la sancta Scriptura, che don Serafino ha trovato nella casa di Lucrezia Rangone e "che trata dela fede e del batesimo e dela religione, de' preti e frati e sore, e de tuto el stato cristiano e molto li riprende". Sembra, riferisce il cronista, "che sotto quello reprendere el ge sia dele eresie".

Quel libro Lancillotti l'aveva comprato due mesi prima, il 3 ottobre 1537, "da M.ro Antonio librare che sta nel Castelare in Modena per una cosa buona e santa". Avendo scoperto che era invece "luterano ereticho", decide di restituirlo chiedendo che gli siano rimborsati gli 8 soldi che gli era costato. Gadaldini acconsente, ma "post multa" e "corociatamente", costretto poi a consegnare il libro "al Vicario del Inquisitore a S.to Domenico, il qual li vole brusare tuti".

Il 1° aprile del 1538 Lancillotti, VI, p. 455, torna sull'argomento segnalando che il giorno prima a Bologna era stato "brusato per ereticho" quello stesso "libreto vulgare" che, "divulgato quasi in tute le cità de Italia da alcuni dela setta lutterana",

ha quasi messo sottosopra questa cità de Modena, perchè in questo advento proximo passato predicando nel Domo de Modena el R.do padre don Serafin canonico regolare de S.to Augustino dise molto contra a ditto libreto, el quale era stato venduto da uno M.ro Antonio librare che sta nel Castelare in Modena sotto spetia de santità, et era andato ale mane de sore et altri religiosi e mondani: como el fu examinato da religioxi dotti fu trovato essere in 25 lochi heretico, et fu aprobato per bono da una certa chademia de Modena de gioveni litterati [...]

Gadaldini, la sua attività, le sue idee e i suoi libri, sono ormai legati alla cerchia dell'Accademia, la "chademia de Modena" o dei Grillenzoni, che a differenza di altre non era soltanto un ritrovo di letterati. La libreria di via Castellaro diventa un centro riconosciuto della diffusione delle nuove idee "luterane", termine che copre all'epoca tutto il campo di quel che possiamo chiamare dissenso o eterodossia nella sfera religiosa.

In quella bottega si ritrovano, secondo le testimonianze che saranno poi rese nel corso del processo per eresia intentato dall'Inquisizione contro Antonio Gadaldini, sia gli uomini dell'Accademia, (Lodovico Castelvetro e Giovanni Bertari, per esempio) sia quelli che conosciamo soprattutto per il ruolo da loro assunto in seguito come capi riconosciuti della comunità dei "fratelli" (Giacomo Graziani, Giovanni Maria Tagliadi o Tagliati, detto il Maranello).

Da parte delle autorità questo mondo del dissenso era avvertito come una specie di contagio. C'è una lettera del 1° marzo 1543 dove Giovanni Domenico Sinibaldi riferisce al vescovo Giovanni Morone, di cui era vicario in città durante le sue lunghe assenze, le voci raccolte a Modena sui cittadini sospetti d'eresia (Processo Morone, III, p. 166-167):

Dicono ancor esser pestifero mastro Antonio dal Castellaro libraro, sì per i libri quanto per la lingua.

Aggiunge l'opinione di una suora, "la suora Ballugola", secondo la quale se si potessero togliere di mezzo mastro Antonio e pochi altri "si smorbarebbe questa città".

segno cromito (tartaruga)

L'attività di editore e stampatore inizia, per Antonio Gadaldini, intorno al 1544. È questa la data che figura sul frontespizio della Stadera del formento, opera di quel Tommasino Lancillotti che per primo ci ha lasciato una testimonianza sui rapporti tra Antonio e la stampa del dissenso religioso.

Non possiamo dare per certo che la Stadera sia veramente la prima edizione uscita dalla stamperia: c'è per esempio un libretto di poche carte che fa seguire all'alfabeto una serie di preghiere in italiano e in latino, un libretto che doveva essere usato dai bambini per imparare a leggere e che si presenta senza data, con caratteri, iniziali e fregi xilografici mai più comparsi in edizioni note dei Gadaldini (con l'eccezione di una N). Potrebbe essere quella, o un'altra del genere, la prima edizione pubblicata da Antonio Gadaldini. Tra l'altro in quel libretto di preghiere non figura la marca del bambino e della tartaruga, mentre in tutte le altre edizioni di Antonio Gadaldini che abbiamo potuto consultare la marca è presente. Sono elementi che potrebbero confermare l'idea di una comparsa del libretto prima della Stadera.

In ogni caso la prima edizione che conosciamo con una data certa è la Stadera del formento di Lancillotti e lì in coda al testo, prima della pagina con la marca tipografica, alla c. Hrv troviamo lo stemma notarile dell'autore con una citazione da vangelo di Matteo (5, 10):

Beati qui persecutionem patiuntur propter Iustitiam: quoniam illorum est regnu[m] coelorum.

Saranno state volute da Lancillotti quelle parole, intendeva fissare il prezzo giusto per il frumento e si preoccupava forse di chi non avrebbe gradito. Difficile però adesso non pensare anche al vecchio Antonio Gadaldini nelle carceri dell'Inquisizione.

Ma dovrà passare del tempo. Tra il 1544 e il 1556 -- quando l'azione intrapresa da Roma porta al suo arresto -- Gadaldini dà vita a un'azienda che deve a lui molte delle caratteristiche che conserverà a lungo. A partire da quelle materiali che contraddistinguono i libri dei Gadaldini: caratteri e fregi tipografici, la marca del bambino e della tartaruga, la cornice xilografica di origine veneziana usata per le edizioni in folio, diverse serie di iniziali, anch'esse spesso di origine veneziana, ecc.

Dal punto di vista delle materie, dei temi trattati nei libri pubblicati, abbiamo soprattutto edizioni che si rivolgono alle esigenze del mercato locale. Libri pensati come sussidio all'insegnamento, da quello elementare del sillabario-libro di preghiere citato sopra a un Compendium rei grammaticae maxime ex Linacro di Francesco Maria Tagliadi stampato del 1549 (operetta scomparsa ma la ricorda Montecchi, Gadaldini citando Tiraboschi), al De syllabarum quantitate commentariolum di Bendinelli, che teneva scuola a Modena. Abbiamo edizioncine di poche carte che raccolgono leggi e regolamenti locali (Litterae, gratiae, capitula ... e una Prouisione ducale sopra li contratti illiciti, entrambe del 1555), un catechismo, la prima edizione dei Regum, consulum, dictatorum, ac censorum Romanorum fasti ... di Sigonio (1550), che pubblica anche la sua traduzione della prima filippica di Demostene (1549).

Niente di particolarmente rilevante dunque, salvo la possibilità che Antonio Gadaldini oltre a diffondere, com'è certo, copie dell'edizione veneziana del Beneficio di Cristo ne abbia anche stampata una modenese. Non lo escludono né Montecchi (Montecchi, Gadaldini parla della stampa di "opere sospette, tra cui forse lo stesso Beneficio di Cristo") né Caponetto (Beneficio, p. 469: "la diffusione fu immensa e l'operetta fu ristampata più volte a Venezia e forse a Modena").

segno cromito (tartaruga)

Veniamo dunque agli anni più difficili per Antonio Gadaldini. Una fonte importante, sull'argomento, restano alcune pagine della Biblioteca modenese tra quelle dedicate a Lodovico Castelvetro (Tiraboschi, II, p. 446-451). Nel 1555, scrive Tiraboschi, "cominciarono in Modena le segrete ricerche sulla fede del Castelvetro, e di alcuni altri, che nella stessa accusa furon compresi". In una lettera del 26 ottobre il governatore di Modena, Clemente Tiene, ne informa il duca Ercole II d'Este:

si è mossa una voce qui in Modena, che è stato fatto uno examine per conto della Religione, qual è stato mandato in Roma, contra alcuni Cittadini de li primi di questa Città [...].

Il governatore aggiunge di aver chiesto l'opinione del vescovo di Modena, Egidio Foscarari, che sembra sia stato tenuto all'oscuro di questa azione. Aveva, in passato, avuto notizia delle accuse ma "ragionando lui con uno delli nominati nello examine, non ne trovò fondamento".

Le molte lettere su questo affare del Duca al vescovo d'Anglone Giulio de' Grandi suo Ministro in Roma [...] ci fan conoscere, che quell'ottimo Principe adoperò ogni mezzo, perchè non si destasse troppo gran fuoco, e perchè non si pubblicassero le citazioni contro coloro, che erano specialmente accusati [...].

Ma alla fine il papa Paolo IV "pressò il Duca medesimo a far pubblicare le citazioni", che riguardavano tre rappresentanti di importanti famiglie della città (Lodovico Castelvetro, Filippo e Bonifacio Valentini) e Antonio Gadaldini, "Stampatore e Librajo".

Consentì finalmente il Duca alle istanze del Papa & a' 6. di Luglio scrisse al Governatore di Modena ordinandogli, che pubblicasse le citazioni [...].

Il 17 luglio 1556 i Conservatori della città scrivono al duca manifestando la loro preoccupazione per questa azione intrapresa direttamente da Roma ("la qual cosa, quando dovesse procedere saria per portare molto danno a questa Città"). Si dicono spaventati dall'accusa di "heresia", che non solo "torna a qualche infamia della Città", ma rischia anche di creare problemi in una Modena che, prima di questi guai, "si truova quietissima". Aggiungono una difesa degli accusati: "persone virtuose, e non tali, che debbano esser dishonorati a questo modo".

Un altro messaggio dello stesso tenore è indirizzato al duca dal nuovo governatore di Modena Ercole Contrario il 16 luglio, e un secondo dei Conservatori il 24 luglio. Il duca, a sua volta, scrive al suo ministro a Roma perché informi il papa che le citazioni erano state affisse come chiedeva, ma, nello stesso tempo, perché cerchi di convincerlo a sospendere il procedimento, "o almeno perchè la causa de' quattro citati si trattasse entro lo Stato, e non fosser essi costretti ad andarsene a Roma".

Il Duca per dar pure al Pontefice qualche soddisfazione nell'Ottobre dell'anno stesso [il 1556] fece chiudere in carcere lo Stampatore Gadaldino, e ne diede avviso con sua lettera de' 31. del detto mese al Vescovo d'Anglone, aggiungendo ch'ei dubitava che il Gadaldino per la decrepita sua età non potesse esser trasportato a Bologna; che nondimeno, quando S.S. così ordinasse, ve l'avrebbe fatto condurre; ma che pregasse caldamente il Pontefice, che poichè le cose della Religione, anche per testimonianza del Vescovo, erano allora tranquille in Modena, si degnasse di non molestare alcun altro [...]

"[...] anzi di far liberare anche il Gadaldino, quando fosse riconosciuto innocente", aggiungeva, secondo Tiraboschi, Ercole II. Ma evidentemente non tutti gli accusati avevano la stessa importanza. A parte Gadaldini, il solo Bonifacio Valentini, in quanto ecclesiastico, dovette poi subire il carcere, per circa un anno. E il duca manifestò per questo apertamente la sua contrarietà.

D'altra parte, come è detto in Montecchi, Gadaldini, "La richiesta romana [...] si era trasformata subito in un maledetto affare di stato":

la carcerazione di Antonio Gadaldini non era dovuta semplicemente alla sua vicenda personale, facilmente risolvibile a Modena o a Ferrara, ma interferiva direttamente col processo intentato dal Sant'Ufficio contro il cardinale Giovanni Morone. Tra i capi di imputazione contro il cardinale ve ne era uno, il diciottesimo, che lo riguardava: il prelato era, infatti, accusato di "aver curato la distribuzione del libretto intitolato Beneficio di Cristo e di aver ordinato a un libraio eretico ossia sospetto di eresia di vendere simili libretti a più persone possibile e di darlo in dono a quanti non avevano i soldi, poiché egli avrebbe pagato il loro prezzo" (Processo Morone, II, p. 594). La presenza di Antonio Gadaldini era necessaria a Roma per confermare in prima persona l’intera vicenda [...].

Al libraio/tipografo toccarono più di tre anni di carcere, prima a Ferrara (ottobre 1556), quindi trasferito a Bologna (febbraio del '57) e a Roma, dove resta dal maggio del 1557 fino alla promulgazione della sentenza e alla recitazione dell'abiura, nel dicembre del 1559. È sempre Montecchi che spiega come la fine della vicenda sia, quanto il suo inizio, legata a quella di Morone:

Anche la carcerazione del libraio ebbe finalmente termine quando, con la morte di papa Paolo IV venne meno, a Roma, ogni interesse nell'accusa contro il cardinale Morone, il quale, prontamente liberato, partecipò al conclave, si discolpò completamente e fu dal nuovo papa, Pio IV, pienamente riabilitato, tanto che partecipò da protagonista alle ultime sessioni del Concilio di Trento e, alla morte di Egidio Foscarari ottenne, per la seconda volta, il vescovado di Modena.

Gli "errori" che Antonio Gadaldini aveva dovuto riconoscere (ma si veda anche la trascrizione integrale del testo dell'abiura conservato tra le carte del processo all'Archivio di Stato di Modena) erano i seguenti: inesistenza del purgatorio, inutilità della quaresima e della castità da parte del clero, mancata devozione alla Vergine e ai santi, l'idea stessa che la Chiesa cattolica facesse o tollerasse errori. A questo si univa il giuramento di aver creduto e credere sempre in futuro all'utilità della messa e alla presenza reale di Cristo nell'ostia, e quello che lo impegnava a non leggere, vendere, comprare libri eretici né commerciare con eretici o sospetti d'eresia, e, avendone notizia, denunciarli all'Inquisizione.

Le pene e le penitenze che gli furono imposte sono così riassunte da Pastore:

La sentenza assegnò al Gadaldini la residenza obbligata a Modena, da cui non poteva allontanarsi senza autorizzazione congiunta del vescovo e dell'inquisitore, ai quali doveva presentarsi una volta al mese per "baciare le mani"; gli fu altresì imposto l'obbligo, ogni venerdì per la durata di tre anni, di recitare orazioni davanti alle immagini di Cristo e della Vergine.

Una volta tornato dalle prigioni romane si ritira definitivamente dall'attività, dividendo i suoi beni tra i figli Agostino e Cornelio. Muore a Modena il 6 aprile del 1568.