una cornice xilografica

A. STORIA

1. Gregorio de Gregori

+ lato sup. ; lato inf. ; lato
   sin.
; lato dx
+ es. 1 (1519)
+ es. 2 (1521)
+ es. 3 (1519)
+ tratteggio, volute,
   medaglioni

2. Bernardino e Matteo
    Vitali

+ lato sup.

3. Giovanni Nicoli

+ lato sup. ; lato inf. ; lato
   sin.
; lato dx

4. i Gadaldini

+ lato sup. ; lato inf. ; lato
   sin. e dx

B. FIGURE

1. i quattro viventi

+ fonti bibliche
+ cattedrali
+ miniatura
+ xilografia

2. pellicano

3. fenice

4. unicorno

5. sfingi

+ Dino Campana

[a cura di a.l.]

B3. fenice

La fenice che rinasce dalle sue ceneri, emblema di resurrezione e vita eterna, figura di Cristo. Innumerevoli le versioni che sono state date di questo mito di luce, fuoco, morte e vita, con tutti i profumi d'Oriente (cfr. Zambon-Grossato).

Quella di Tasso sta nel quinto libro del Mondo creato, distesa in centinaia di endecasillabi. Impossibile riprodurla qui per intero:
fenice, 1519
Loco è nel più remoto ultimo clima
de l'odorato e lucido Oriente,
là dove l'aurea porta al ciel diserra
uscendo il sol, che porta in fronte il giorno.
Nè questo loco è già vicino a l'orto
estivo, o pur a l'orto onde si mostra
il sol cinto di nubi a mezzo il verno;
ma solo a quello ond'ei n'appare ed esce
quando i giorni e le notti insieme agguaglia.
Ivi si stende ne gli aperti campi
un larghissimo pian; nè valle o poggio
in quell'ampiezza sua dechina o sorge,
ma quel loco è creduto alzare al cielo
sovra i nostri famosi orridi monti
sei volte e sei la verde ombrosa fronte.
E quivi senza luce al sole è sacra
opaca selva, e con perpetuo onore
di non caduche fronde è verde il bosco,
che l'ondoso ocean circonda intorno.
E quando de l'incendio i segni adusti
nel ciel lasciò nel carreggiar Fetonte,
securo il loco fu da quelle fiamme.
E quando giacque in gran diluvio il mondo
sommerso, ei superò l'orribili acque.
Nè giungon quivi mai pallidi morbi,
o pur l'egra vecchiezza o l'empia morte,
non cupidigia o fame infame d'oro,
non scelerata colpa, o fiero Marte,
o pure insano amor di morte iniqua.
Sono l'ire lontane e 'l duolo e 'l lutto,
e povertà d'orridi panni involta,
e i mal desti pensieri, e le pungenti
spinose cure, e la penuria angusta.
Quivi tempesta o di turbato vento
orrida forza il suo furor non mostra,
nè sovra i campi mai l'oscure nubi
stendono il negro e tenebroso velo,
nè d'alto cade impetuosa pioggia.
Ma in mezzo mormorando un vivo fonte
lucido sorge e trasparente e puro,
e d'acque dolci e cristalline abonda,
e ciascun mese egli si versa e spande,
talchè dodici volte il bosco irriga.
Quivi alza i rami da sublime tronco
arbor frondoso, e non caduchi e dolci
pendono i pomi tra le verdi fronde.
Tra queste piante e 'n quella selva alberga
appresso il fonte l'unica fenice,
che de la morte sua rinasce e vive:
augello eguale a le celesti forme,
che vivace le stelle adegua, e 'l tempo
consuma e vince con rifatte membra.
E come sia del sol gradita ancella,
ha questo da natura officio e dono,
che quando in cielo ad apparir comincia
sparsa di rose la novella aurora,
e dal ciel caccia le minute stelle,
ella tre volte e quattro in mezzo a l'acque
sommerge 'l corpo, e pur tre volte e quattro
liba quel dolce umor del vivo gorgo.
Poscia a volo s'inalza, e siede in cima
de l'arbore frondosa, e quinci intorno
la selva tutta signoreggia e mira.
Ed al nascer del sole indi conversa,
del sol già nato aspetta i raggi e 'l lume.
Ma poichè l'aura di quel lucido auro,
onde fiammeggia il sol, risplende e spira,
a sparger già comincia in dolci modi
il sacro canto; e la novella luce
con la mirabil voce affretta e chiama.

[...]

Ma poi forniti cento e cento lustri,
ne la vetusta età più grave e tarda,
ella che già passare a volo i nembi
poteva e le sonore atre procelle,
per rinovar la stanca vita, e 'l tempo
chiuso e ristretto pur da spazi angusti,
fugge del bosco usato il dolce albergo.
E di rinascer vaga, i lochi sacri
addietro lascia, e vola al nostro mondo,
ove ha suoi regni l'importuna morte.
E già drizza invecchiata il lento volo
in quella di Soria famosa parte,
a cui diede ella di Fenice il nome.
E di selve deserte ivi ricerca
per non calcate vie secreta stanza,
e si ricovra ne l'occulto bosco.
Ed allor coglie de l'aereo giogo
forte palma sublime, a cui pur anco
compartì di fenice il caro nome;
cui romper non potria co' feri denti
serpe squammosa o pur augel rapace,
od altra ingiuriosa orrida belva.
E chiusi allor ne le spelunche i venti
taccion fra cavernosi orridi chiostri,
per non turbar co' lor torbidi spirti
del bell'aer purpureo il dolce aspetto.
Nè condensata turbo i vani campi
del ciel ricopre, ed al felice augello
toglie la vista de' soavi raggi.
Quinci il nido si fa, sia nido o tomba
quello in cui pere, onde rinasca e viva
l'augel, che di se stesso è padre e figlio,
e se medesmo egli produce e cria.
Quinci raccoglie de la ricca selva
i dolci succhi e i più soavi odori,
che scelga il Tiro o l'Arabo felice,
o Pigmeo favoloso od Indo adusto,
o che produca pur nel molle grembo
de' Sabei fortunati aprica terra.
E quinci l'aura di spirante amomo,
con le sue canne il balsamo raguna;
nè cassia manca o l'odorato acanto,
nè de l'incenso lagrimose stille,
e di tenero nardo i novi germi,
e di mirra v'aggiunge i cari paschi.
Quando repente il variabil corpo,
e le già quete membra alluoga e posa
nel vital letto del felice nido,
e nel falso sepolcro ardente cuna
al suo nascer prepara, anzi la morte.
Sparge poi con la bocca i dolci sughi
intorno, e sovra a le sue propie membra.
Ivi l'essequie sue si fa morendo,
e debol già con lusinghieri accenti
saluta il sole, anzi l'adora e placa.
E mesce umil preghiera a l'umil canto,
chiedendo i cari incendi, onde risorga
col novo acquisto di perduta forza.
Fra vari odori poi l'alma spirante
raccomanda al sepolcro, e non paventa
l'ardita fede di sì caro pegno.
Parte di vital morte il corpo estinto
s'accende, e l'ardor suo fiamme produce,
e del lume lontan concepe il foco,
ond'egli ferve oltra misura e flagra,
lieto del suo morir, perchè veloce
al rinascer di novo egli s'affretta.
Splende quasi di stelle ardenti il rogo,
e consuma il già lasso e pigro veglio.
La luna il corso suo raffrena e tarda,
e par che tema in quel mirabil parto
natura, faticosa e stanca madre,
che non si perda l'immortale augello;
ma di gemina vita in mezzo il foco
posto il dubbio confin distingue e parte.
Ne le ceneri aduste alfin converso,
le sue ceneri accolte egli raduna
in massa condensate, e quasi in vece
è l'occulta virtù d'interno seme.
E quinci prima l'animal ci nasce,
e 'n forma d'ovo si raccoglie in giro.
Poi si riforma nel primier sembiante,
e da le nove sue squarciate spoglie
alfin germoglia l'immortal fenice.